Giugni: «Le ragazze che giocano a calcio meritano rispetto»
Articolo apparso sul Nuovo Corriere Laziale del 9 novembre 2015
La Serie C di Calcio a 11 Femminile è iniziata da circa poche settimane e già, verrebbe da dire, è entrata nel vivo: il girone unico di quest’anno non vede compagini di rilievo come la Roma XIV o simili, tuttavia è foriera di esperimenti interessanti, come quelli delle squadre formatesi con delle calciatrici che si stanno avvicinando (o riavvicinando) al mondo del calcio.
Un’alfabetizzazione al calcio a 11 in sostanza, per cui la Serie C può essere un ottimo banco di prova per molte atlete, come ha affermato Francesco Giugni, allenatore della Guardia di Finanza Calcio, interpellato dal ‘Nuovo Corriere Laziale’.
La tua squadra ha iniziato il campionato col piede giusto, qual è il tuo giudizio riguardo il girone unico della Serie C di Calcio a 11 Femminile?
«La Serie C di quest’anno è un campionato in cui sono inserite molte squadre, come la Guardia di Finanza stessa l’anno scorso, che erano state create ex novo. Si sta cercando, in buona sostanza, di far ampliare e irrobustire quelle nuove realtà che si approcciano al calcio femminile. Sono presenti delle squadre, quindi, che – avendo poca esperienza – non si possono permettere un tipo di prestazione specifica tuttavia il campionato di serie C dà buone possibilità a tante ragazze, dal momento che si scontrano tra loro sia calciatrici esperte che giocano da tanti anni, sia calciatrici che si stanno approcciando adesso (o riavvicinando) al mondo del calcio. Per questo, giacché nello scorso anno mi sono trovato nella stessa situazione, apprezzo molto le atlete che si mettono in gioco nonostante le difficoltà di ‘neocalciatrici’».
Una ragazza che decide di giocare a calcio vince uno stereotipo non indifferente…
«Esatto! Le atlete che iniziano a giocare a calcio vengono percepite come ‘mascoline’ o che disputano uno sport per cui deve avere una certa dote fisica. Anche se, in ogni caso, questa è un’idea rimasta solamente ancorata all’Italia: il calcio femminile, in altri Paesi – ad esempio -, è posto sotto un’altra luce ed ha una diversa importanza e questo è, forse, anche determinato dal fatto che nel nostro Paese s’è sempre guardato al calcio come uno sport per uomini. Secondo me, ovviamente, non è così, anche se calcio femminile e calcio maschile non andrebbero neanche messi a paragone, nonostante si giochi allo stesso modo: non si può dire, in sostanza, che uno sia più legittimato dell’altro o che la donna che gioca al pallone sia ‘uomo’».
Da quest’anno la Guardia di Finanza ha introdotto una nuova squadra di calcio a 11 che disputa sempre la Serie C: il Circolo Guardia di Finanza. Prima si parlava di alfabetizzazione al calcio di alcune calciatrici, il percorso della seconda squadra va a porsi su questo solco?
«Sì, esatto. E’ da apprezzare, infatti, il fatto che queste ragazze scendano nel rettangolo di gioco che vadano incontro a facili scoramenti dovuti dal risultato finale di una partita quando si incontrano compagini più preparate della propria. Tuttavia, non sempre accade, dal momento che entra in ballo la determinazione e la passione delle ragazze stesse: non solo, quindi, è da tener presente l’avvicinamento delle ragazze che iniziano a giocare a calcio da zero (anche all’età di ventotto anni, ad esempio), ma anche calciatrici che hanno smesso e che ricominciano a giocare dopo tanto tempo. Col tuo lavoro hai fatto tornare loro la passione e la voglia. Anche la Serie C può dare qualcosa, in questo senso ‘vince’: avere squadre di neocalciatrici nel campionato che non hanno paura d’essere ‘schiacciate’ da una valanga di gol – per un fattore d’inesperienza, non d’altro – danno il loro contributo e partecipano avvicinandosi o ri-avviciandosi a questo sport».
A proposito delle neocalciatrici che partono, sostanzialmente, da zero, come valuti l’inserimento delle squadre di giovanissime all’interno di alcuni gironi dei Giovanissimi Provinciali? E’ una metodologia d’inserimento sbagliata, oppure no?
«Sbagliata direi di no, può essere anche positiva, soprattutto per fare in modo che le ragazze possano avere l’opportunità di giocare. Certo, anche qui si ripete il concetto che esprimevo poco fa: devono essere ragazze forti in quanto, sicuramente, possono non ricevere subito i frutti del loro lavoro e vivere delle brutte sconfitte sul campo da squadre maschili che giocano da più tempo e a causa della prestanza fisica, che nel calcio conta tanto. Il pericolo, più che altro, è questo, non tanto il mettere a confronto le ragazze coi ragazzi o calciatrici più brave con calciatrici meno brave. L’importante è che queste ragazze riescano a resistere, affrontando un periodo difficile, per poi poter migliorare. Nel complesso, in ogni caso, le calciatrici sono determinate tanto quanto i ragazzi che giocano a pallone: posso assicurare, da allenatore, che non è affatto facile subire venti gol a partita, sia che essi siano stati inflitti da una squadra maschile o da una compagine femminile più preparata della tua. Bisogna capire, quindi, che si sta affrontando un percorso di crescita che porterà a dei risultati sia riscontrabili sul campo, sia di tipo tecnico, tuttavia il nodo è quello: la pazienza d’aspettare per poi avere dei risultati. Anche per questi motivi il Vice Presidente del GDF, il Maggiore Gianluca Berruti, ha voluto a tutti i costi che si formasse e iscrivesse la seconda squadra femminile».
C’è un dibattito che si protrae da un po’ di tempo riguardo il dilettantismo della Serie A di Calcio a 11 Femminile. Una Serie A professionistica potrebbe incentivare lo sviluppo del settore? Che idea ti sei fatto a riguardo?
«Io penso che sia un’ottima idea, quella del porre almeno la Serie A sul piano professionistico o semi-professionistico: potrebbe dare, infatti, un incentivo in più ed essere un segnale di crescita del settore. Sono valide, allo stesso modo, le proposte di obbligo di un vivaio delle società o – come avviene già in alcune società blasonate – di aprire anche una squadra femminile. Sono queste, secondo me, le cose che possono fare la differenza: l’idea di una massima serie professionistica o semi-professionistica può avvicinare molte ragazze e può essere di stimolo alle calciatrici che intendono riprendere a giocare. Molte, infatti, nonostante abbiano voglia di giocare al pallone, lasciano la propria passione, per un motivo o per un altro. E questa è la sconfitta più grande».
Alcune società di calcio maschile di Seconda e Terza Categoria (a Roma e nel Lazio) hanno intrapreso il percorso dell’azionariato popolare, replicando il fenomeno dell’FC United of Manchester in Inghilterra, penso all’Ardita, all’Atletico San Lorenzo o alla matricola Spartak Lidense. L’azionariato popolare potrebbe essere preso in considerazione anche dalle società di Serie C Femminile, per far sì che si crei un seguito attorno a quella data squadra e per fare in modo che si stimoli un dibattito attorno alle ragazze calciatrici?
«Penso che possa essere un incentivo. In ogni caso, ad oggi, è ben accetta qualsiasi tipo di iniziativa che possa dare un input positivo al mondo calcistico femminile: le ragazze si impegnano molto e se lo meritano, soprattutto per chi fa molti sacrifici da anni. Meritano riconoscenza e rispetto».
di Marco Piccinelli