Speciale impianti: «C’è il rischio che il Flaminio cada a pezzi»

Speciale impianti: «C’è il rischio che il Flaminio cada a pezzi»

Articolo apparso sul Nuovo Corriere Laziale dell’11 Aprile 2016

di Marco PICCINELLI

In principio fu il Flaminio. Lo stadio, edificato dall’architetto dall’architetto Nervi nel 1959, versa in totale stato di abbandono dal 2011, da quando neanche più la Federazione Italiana Rugby ha deciso di disputarvi le partite della nazionale. L’impianto, dunque, che vide il possibile affacciarsi nella serie B del fu Atletico Roma, che doveva essere la terza squadra della Capitale nel calcio professionistico in Italia, versa in un degrado quasi senza possibilità di ritorno. Federsupporter ha, da tempo, lanciato l’idea di riqualificare l’impianto e di renderlo fruibile per la SS Lazio, corredando il tutto dal minuzioso studio “Stadio Flaminio, degrado diffuso” in cui si riscontrano più settori in completo stato d’abbandono. Il ‘Nuovo Corriere Laziale’ ha avuto modo di interpellare, a tal proposito, Anna Maria Bianchi, rappresentante dell’Associazione Carte in Regola e – da poco – coordinatrice di Cittadinanzattiva: «non dispiace l’idea che il Flaminio possa mantenere la sua vocazione sportiva, se questo non interferisse con l’architettura dell’opera ma c’è anche un problema di sostenibilità del territorio», ha dichiarato la Bianchi che ha proseguito affermando come la domenica, tra stadio Olimpico e altri punti di attrazione «la vita dei cittadini del Flaminio è stata sempre più insostenibile, tra soste selvagge e mobilità», dato che i mezzi su gomma arrancano e la metropolitana non arriva ad irrorare le zone limitrofe allo stadio. Una delle problematiche che mette in luce Anna Maria Bianchi, poi, è quella «per cui il cemento armato inizia a sgretolarsi a causa del ferro all’interno» per cui c’è proprio «il rischio che lo stadio cada a pezzi» e richiede «un’intervento di ristrutturazione massiccio e speriamo ci sia qualche privato che lo possa fare». Tuttavia, gli interventi dei privati, come tutte le grandi opere della Capitale testimoniano manifestamente, sono utili non alla collettività ma ai privati stessi e la Bianchi, a tal proposito, conferma che un progetto di un privato deve necessariamente seguire «una regia pubblica» perché «non deve diventare la scusa per fare un’opera speculativa, dato che il rischio è che molto spesso si pensa di realizzare degli interventi di pubblico interesse, come in questo caso tutelare un’opera così importante, ma che poi diventa la scusa per fare “duecentomila” cubature commerciali o di altra natura». «Una delle ipotesi che ci piaceva molto – ha proseguito la Bianchi – era quella dell’Assessore Pancalli per cui s’era pensato di utilizzare il Flaminio come stadio di allenamento» per le numerose attività che possono essere svolte all’interno della struttura. La trattativa andò avanti per un po’ ma in seguito venne, sostanzialmente, interrotta. Una delle altre possibilità per lo stadio Flaminio, secondo Anna Maria Bianchi, era quella per cui l’Auditorium, «che lamenta sempre di non avere abbastanza uffici e strutture per le sale, sia per il corso del Festival del cinema di Roma», si sarebbe potuto unire allo stadio Flaminio «a patto che potesse diventare un luogo per cui potessero essere creati nuovi spazi culturali e anche degli spazi commerciali, non siamo aprioristicamente contrari ma che siano calibrati con gli intenti e gli obiettivi culturali» che risultano essere – comprensibilmente – una necessità per qualsiasi territorio, da quelli più centrali a quelli più periferici anche extra-GRA. «La nostra paura – afferma la Bianchi – è che si mettano in atto modifiche che si lasciano in mano ai privati e che comportano un aumento della pressione sul quartiere senza che siano state predisposte delle infrastrutture decenti», specie per l’impatto tangibile che le partite hanno sul quartiere: «spesso c’è gente che è bloccata in casa e non riesce neanche più ad uscire perché gli hanno parcheggiato sul portone, ad esempio». Il tema del Flaminio ha bisogno, dunque, «di una riflessione a monte sul fatto che devono essere fatte delle operazioni compatibili col territorio e anche con la destinazione che si vuol dare al quartiere», dato che nel tempo si sono messe in piedi strutture come il MAXXI e «sicuramente è un quartiere che dovrebbe essere sviluppato su questo binario, quello della cultura e dello sport ma che sia sostenibile». Lo stadio dell’architetto Nervi, insomma, potrebbe essere usato come struttura d’allenamento anche perché ogni altra ipotesi «sarebbe assolutamente negativa e ci aspettiamo che la decisione venga anche presa consultando i cittadini e non come al solito che vengono prese decisioni che passano sulla testa di chi abita nei territori. Certamente è un punto d’interesse cittadino e metropolitano, ma è anche un discorso che va affrontato rassicurando gli abitanti sul fatto che non sarà l’ennesima opera che crea ancora più disagi e basta».

Marco Piccinelli

Studente di Scienze Storiche presso l’Università di Tor Vergata. Scrivo per il ‘Nuovo Corriere Laziale’ , ho un blog su Formiche.net. Ho scritto per Controlacrisi.org, Lindro.it, Oltremedianews.com, ‘Terra’ e ‘il manifesto’. Nicchista per vocazione. Generalmente leggo parecchio.

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