Chi perde quando la Lazio vince
di Arianna MICHETTONI
Può sembrare un paradosso, una infima insinuazione – e lo è, in effetti: è una poco velata allusione al trambusto mediatico che da lunedì coinvolge la Lazio. Una provocazione all’ipocrisia e contro l’ipocrisia, uno squarcio al velo di Maya che copre – o che si stende sul pietoso – le azioni e le motivazioni di alcuni dei comunicatori biancocelesti.
Al triplice fischio arbitrale, nel momento in cui termina Lazio – Sassuolo, vi è certamente chi esulta: i tifosi presenti allo stadio, il vero scopo ultimo a cui ogni giocata sul campo è rivolta; coloro i quali – dietro ad uno schermo o davanti al televisore – non rinunciano tuttavia a seguire le sorti biancocelesti; e, ancora, tutti quelli con auricolare e radiolina, anche di una particolare nostalgia e bellezza storica. Vi è certamente chi esulta, insomma, chi si lascia trasportare da entusiasmo ed ottimismo ed è contento, davvero contento. Eppure, se è vero che la nostra esistenza è basata su un fondamentale equilibrio, alla gioia di qualcuno fa da contraltare l’amarezza di altri: nel naturale ordine delle cose, dovrebbe trattarsi dei supporters neroverdi o comunque dei rivali biancoceleste. Allora la considerazione critica che qui si sta impostando cesserebbe in una illogica constatazione; e però no, tanto disappunto non è solamente dell’avversario domenicale. C’è infatti chi perde quando la Lazio vince – non è un gioco di parole, non è affatto un gioco: c’è chi perde di credibilità per aver sbagliato il pronostico alla vigilia; c’è chi perde un personale obiettivo impostato sulla coscienza sporca; c’è, in ultimo, chi perde la considerazione verso se stesso e il prossimo, preda di uno spasmo nervoso ed insolente per aver mancato l’occasione di tacere e non aver dato sfogo alla più becera delle frustrazioni. Più dell’incompetenza, dunque, poté la malafede: ed ecco la ragione per cui, spentasi la luce della ribalta biancoceleste – già messa in dubbio dal prossimo match contro il Napoli, ci si è affrettati ad accendere il cerino del dissacrante dissenso. Tre le tematiche principali: le polemiche ed il malumore (di Cataldi e Luis Alberto, riportati con una morbosa dovizia di particolari), le improvvise e strumentali difficoltà nei rinnovi contrattuali (De Vrij e Biglia in ordine cronologico) e – ultimo ma non ultimo – un capzioso titolo sull’ammontare del debito laziale con il fisco – che a saper e voler leggere è sempre lo stesso, quello che era e che sarà ancora per anni; che a saper e voler leggere è stata la soluzione salva-Lazio ad opera di uno soltanto, pur riportata con intricate iperboli ed inconsistenti doppi sensi. Non un perché che spieghi le ragioni di tali scelte editoriali, mediatiche ed opinionistiche, nessuno vuol qui offendere l’intelligenza ed il senso critico altrui – segni di pensiero senziente vengono dai commenti agli attacchi di questi sedicenti esperti del mondo biancoceleste; quanto piuttosto l’esasperazione del dover constatare, di nuovo e senza nulla di nuovo, nient’altro se non l’intenzione di ingannare: di voler gettare necessariamente discordia per non distogliere l’attenzione contestatoria ormai basata e votata sul nulla, quando risultati e reazioni finalmente restituiscono il giusto affetto e approvazione alla squadra biancoceleste. Ma la pratica infida resta, e per questo c’è chi perde quando la Lazio vince – a loro auguriamo di toccare il fondo (nella speciale classifica del consenso, ovviamente) e di scrivere tanto e tanto ancora sulle storture del mondo biancoceleste: ricordando che la bruttezza, così come la bellezza, è negli occhi di chi guarda.