Il sogno di nonno Claudio: col cappello e l’abito buono, i testimoni silenziosi dello Scudetto 1915
di Arianna MICHETTONI
Nonno Claudio è nato a Roma nel marzo del 1898, da famiglia modesta: il padre è un impiegatuccio in un ufficio contabile; la madre una casalinga, così come si confà alle rispettabili usanze del passato. Nel 1915 nonno Claudio ha 17 anni, che un secolo addietro non è certo l’età della fanciullezza e spensieratezza: è un giovane uomo, col cappello e l’abito buono della domenica. Ma ai suoi amici, quelli del cortile e delle ginocchia sbucciate, parla di Lazio e non di prospettive esistenziali: è un tifoso lui, il tifoso della formazione vincitrice del girone Centro-Meridionale, e chissà che stavolta la sua squadra non riesca a conquistare lo scudetto! Lo dice con lo sguardo rivolto all’orizzonte – lì dove si affollano gli oscuri presagi del conflitto bellico mondiale.
Nonno Claudio è solo uno dei tanti, taciuti testimoni di un dato storico reale e documentato: la sua Lazio, nei giornali dell’epoca, è “Campione del Centro Sud”. Il campionato 1914/15 fu infatti interrotto per motivi bellici prima della finale tra la vincitrice del girone Nord, appunto il Genoa, e la vincitrice del girone del Centro-Sud, la Lazio. Il club biancoceleste aveva perciò guadagnato prima il titolo di Campione dell’Italia Centrale in seguito ai risultati del campo e al forfait del Lucca (documentato attraverso il comunicato con cui la squadra toscana ufficializzò il proprio ritiro per motivi finanziari dal girone dell’Italia centrale a due turni dal termine), poi, tenendo conto dell’annullamento da parte della FIGC della prefinale dell’Italia meridionale Internazionale Napoli – Naples per irregolarità di tesseramento di due calciatori, la conseguente ed automatica conquista del titolo di squadra campione dell’Italia Centro-Meridionale; mentre il Genoa era primo in classifica al momento della sospensione per la Prima Guerra Mondiale, e tale restò. Tanto più che il club rossoblù rifiutò di accettare la direttiva emanata dalla FIGC per prevenire l’insorgenza bellica ed anticipare al 16 Maggio 1915 l’ultimo turno del girone finale dell’Italia Settentrionale, che è così rimasto indisputato, in cui era in programma Genoa – Torino – la compagine genovese era allora provvisoriamente in testa con due punti di vantaggio su Torino ed Internazionale.
Con una delibera emanata dopo la Grande Guerra, la FIGC decise però di assegnare il titolo di Campione d’Italia ai Grifoni. La motivazione era semplice, quasi ingenua: il Genoa era considerata la squadra più forte.
Un ex aequo non riconosciuto, solo perché si è presunto che il Genoa avrebbe vinto quella finale: eppure la Lazio potrebbe in effetti avanzare più diritti su quel titolo rispetto alla stessa contendente, sostanzialmente auto-proclamatosi campione nel 1919 – il club rossoblu non è in possesso di nessun documento che attesti la legittimità di quello scudetto.
Quel che il lavoro dell’avvocato Gian Luca Mignogna propone, avvalendosi delle oltre 32.000 firme della petizione e delle testate che per prime, come il “Nuovo Corriere Laziale” e “Il Tempo” hanno creduto nella rivendicazione, è quindi di riesaminare oggettivamente il contesto storico, sociale e sportivo in cui sarebbe stata adottata la delibera postbellica con cui d’ufficio risultò assegnato lo scudetto 1914/15 al Genoa, a tutt’oggi in realtà irreperibile presso gli archivi della federcalcio. Ciò al fine di assegnare lo scudetto 1914/15 a Lazio e Genoa ex aequo, dichiarare entrambi i club campioni d’Italia per tale campionato e fregiare col tricolore i biancocelesti per il primato all’epoca conseguito nell’Italia Centro-Meridionale ed i rossoblù per quello in via di conseguimento nell’Italia Settentrionale.
Un riconoscimento dovuto a quel nonno Claudio simbolo di un destino funestato dallo scoppio del Primo Conflitto Mondiale; alle lacrime da lui versate il 23 Maggio 1915, momento della sospensione bellica adottata dalla FIGC. Perché nonno Claudio, svestito l’abito buono ed indossata la divisa militare, nella consapevolezza dell’atrocità della guerra poteva ormai solo conservare le immagini e preservare il ricordo delle gesta degli atleti da lui più volte decantati, strappati dal gioco del calcio e della vita ed ora chiamati a servire la madre Patria col massimo sacrificio e spirito di abnegazione. La squadra capitolina fu fervente contributrice all’evento bellico, fornendo capitale umano – tra dirigenti, atleti e soci, di cui circa trenta non sopravvissuti alla battaglia – e il campo, trasformando “la Rondinella”, il terreno dove esercitava l’attività calcistica, in “orto di guerra” per sfamare vedove ed orfani di quegli uomini caduti (una delle ragioni per cui nel 1921 la Società Podistica Lazio venne insignita della benemerenza di Ente Morale). Un’idea, quella di patria, che smetterà di esistere solamente quando storie come quella della Lazio e dei suoi atleti non verranno più raccontate alle nuove generazioni.
Una storia di guerra e di sport, di atleti combattenti e di medaglie, di cui ogni italiano può andare degnamente fiero. Ma è necessario rendere ancora onore e merito sportivo ai numerosi caduti dell’allora società podistica Lazio sul fronte Austro-Ungarico: le coppe e i trofei agonistici sono il principale obiettivo di ogni società sportiva, poi ci sono altre medaglie che un atleta può conquistare rendendo ancora più orgogliosa la polisportiva in cui ha militato.
Motivo per porre rimedio ad una decisione assolutamente iniqua, ingiusta e lesiva dei valori dello sport e dei principi giuridico sportivi, intervenendo sul caso giustappunto nell’ambito del centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Dalla BBC al New York Times, a cento anni dalla Grande Guerra è stato ricordato il sacrificio della squadra che più di ogni altra ha impegnato i suoi uomini al fronte, rinunciando al sogno di una finale scudetto – finanche all’appagamento di una vita vissuta in pienezza. Nonno Claudio è solo l’esempio di quanto la storia abbia colpito l’immaginario collettivo laziale in un momento difficile e controverso. Nell’ultimo anno niente come lo Scudetto 1915 ha riunito tutte le istanze del tifo laziale, riportando l’ideale biancazzurro ai tempi dei pionieri del calcio di cento anni fa. Ora la palla passa alla FIGC: ci vorrà tempo, ci vorrà fede per ottenere un risultato sulla carta impensabile.
A vagliare la questione è stata in prima battuta una commissione istituita dal presidente Carlo Tavecchio e composta dall’avvocato Santoro (presidente) e dai membri Cirillo, Greco, Mastrocola e Sferrazza. Tale organo ha consegnato la relazione sul caso, definendo come “evidenti omissioni” le irregolarità nell’assegnazione unica al Genoa. L’ultima parola spetterà al consiglio federale, l’unico che può decidere definitivamente sul caso. Le prossime settimane potrebbero essere quelle decisive per una votazione che, con parere della commissione dei saggi già favorevole, dovrà tener conto dei diritti lesi della Lazio. Impossibile pensare ad altre istanze e a richieste di altri scudetti rivendicati per la FIGC: solo il caso della Lazio del 1915 rappresenta un “vulnus” sufficiente e unico nel suo genere, tanto da portare la federazione a riscrivere l’albo d’oro della Serie A.
Comunque non sarà possibile intaccare le posizioni ormai consolidate di parti terze, e dunque del Genoa: perciò – nell’eventualità di un esito favorevole alla Lazio – si procederà ad assegnare lo scudetto ex-aequo.
Quale migliore iniziativa per far ardere le ceneri di nonno Claudio e di tutti coloro i quali pagarono con la vita l’ardimentoso patriottismo, se non tributare la giusta riconoscenza al valore versato tanto sui campi di gioco che sui campi di battaglia; e restituire alla storia il corretto scorrere degli eventi, posizionando la Lazio lì dove merita: accanto al Genoa, con lo scudetto cucito sulle maglie biancocelesti – un richiamo ai colori dell’angelica volta – degli eroi del 1915.