Da Giotto a Morandi

Da Giotto a Morandi

di Giuseppe MASSIMINI

Tesori d’arte di Fondazioni e Banche italiane a Palazzo Baldeschi a Perugia. Un avvincente percorso espositivo con 90 opere, dal Medioevo alla metà del ‘900

Nel corso dei decenni le Fondazioni di origine bancarie, istituite 25 anni fa, hanno progressivamente iniziate a raccogliere un gran numero di opere d’arte non ancora del tutto conosciute al grande pubblico. Questo enorme patrimonio è, in parte, oggi esposto nella mostra “Da Giotto a Morandi. Tesori d’arte di Fondazioni e Banche italiane”, aperta, ancora per pochi giorni, chiude il 15 settembre, a Palazzo Baldeschi a Perugia. Curata da Vittorio Sgarbi, testimonia l’assoluta ricchezza dell’arte italiana nel corso dei secoli dal Medioevo alla metà del Novecento.

Da sinistra, San Francesco di Giotto e Natura morta di Giorgio Morandi

Il percorso espositivo, pur ricco di grandi maestri è un viaggio, spiega Sgarbi, alla scoperta di maestri non minori ma nascosti, defilati, cavillosi nel loro impervio e tortuoso magistero, come Matteo da Gualdo, peraltro in casa, nelle collezioni della Fondazione di Perugia”. Impaginata in una sequenza di più sale la mostra si apre con un prezioso tondo con il mezzo busto di S. Francesco d’Assisi di Giotto, l’artista che più di tutti diede inizio al rinnovamento della pittura italiana e si chiude con una splendida “Natura morta” del 1941 di Giorgio Morandi, capace di infondere una solennità pacata e austera ai semplici oggetti del quotidiano. Tra questi due poli una raccolta di oltre 90 opere. Di matrice bizantina con accenti gotici la tavoletta in oro che raffigura la scena del “Noli me tangere” sovrastata da un’immagine della “Madonna del latte” di Barnaba Agocchiari detto Barnaba da Modena seguita da un altro dipinto su tavola “Beato Domenico” di Guido di Pietro detto Beato Angelico dove “la ferma incidenza di una luce costruttiva e la morbida modulazione cromatica e chiaroscurale” sembrano presagire le successive sperimentazione condotte da Piero della Francesca. Dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Reggio Emilia arriva una seducente “Onfale” di Ludovico Carracci esposta insieme alla drammatica ed espressiva “Deposizione di Cristo nel sepolcro” di Ferraù Fenzoni. Nella stessa sala si impongono il minuzioso “Ritratto di Faustina Orsini Mattei” di Scipione Pulzone e una scenografica “Resurrezione di Lazzaro” di Palma il Giovane. A raccontare la pittura del primo Seicento i dipinti di Rutilio Manetti, Simon Vouet, Guido Cagnacci e Pietro Novelli, detto il Monrealese, in mostra con un candido S. Sebastiano che si offre al martirio. A metà percorso, nella Sala delle Muse, troneggia la “Sacra Famiglia con S. Giovannino e i due Angeli”, la grande tela di Gian Domenico Cerrini detto il Cavalier Perugino. La pittura Barocca napoletana si presenta con due autorevoli esponenti Mattia Preti e Luca Giordano così come a rappresentare il roccocò veneziano sono Giovanni Antonio Pellegrini e Pietro Balestra. Si prosegue con un’ampia panoramica di opere sui temi del sacro, del ritratto e della pittura di genere degli artisti del XVIII secolo. L’episodio della Battaglia di S. Martino di Giovanni Fattori ci porta nell’Ottocento. Alla pittura storica di Fattori si affiancano i paesaggi di Giuseppe De Nittis e di Francesco Lojacono e i dipinti di Giuseppe Pellizza da Volpedo e di Giovanni Boldini, carichi di suggestioni evocative. La mostra si chiude con alcune opere esemplari dei maestri del ‘900 come Filippo De Pisis, Carlo Carrà e Scipione. A sigillare il passaggio tra ‘800 e ‘900 Medardo Rosso, una delle figure più rappresentative dell’arte italiana.

 

 

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