Scatti dal mondo, l’intervista al fotografo documentarista Mattia Marzorati
di Chiara Carlini
Poco più di 24 anni, alto, biondo e con occhi azzurri. Mattia è un tipico ragazzo nordico, originario di Cantù, che ha lasciato l’Italia per inseguire la sua grande passione, la fotografia. Lo incontro a Madrid, dove ora vive per motivi di lavoro, e mi racconta cosa si prova a viaggiare e a fotografare il mondo visto dai suoi occhi.
Ciao Mattia, innanzitutto, quando hai scoperto questa grande passione per la fotografia?
Quello per la fotografia è un amore che avevo fin da bambino, quando sfogliavo i libri di Storia e guardavo per ore le fotografie di Robert Capa e di altri grandi. Tuttavia, ho capito di voler fare il fotografo solo durante il mio soggiorno in Perù, nel 2015. Lavorando come assistente sociale, mi sono reso conto di quanto fosse utile la fotografia per rompere certe barriere culturali e che con la “scusa” di voler scattare una foto alla fine mi ritrovavo in situazioni inimmaginabili.
Il primo scatto te lo ricordi?
Non sono particolarmente affezionato al mio primo scatto. Credo fosse una banale foto di vacanza con la famiglia. Invece, sono molto legato ad una fotografia che feci ad un ciclista durante il Giro di Lombardia una decina d’anni fa; incrociò il mio sguardo al momento giusto e rimasi sorpreso nel vederla quando sviluppai il rullino.
Raccontami del tuo viaggio in Perù, so che ti ha portato grandi soddisfazioni con la mostra Rostros Peru…
Tramite la ONG “ASPEm”, di Cantù, ho svolto Servizio Civile sulle Ande peruviane, a Cajamarca. Qui per un anno ho lavorato come assistente sociale in una scuola per bambini e adolescenti lavoratori. Senza dubbio una delle esperienze che più mi ha formato. Per quanto riguarda la mostra, il progetto Rostros Perù è stata una rassegna di eventi organizzata da due cari amici, Filippo Taddei, anche lui reduce da un anno in Perù, e Laura Fattorini. Lo scopo era quello di condividere parte di una cultura che è ancora poco conosciuta, nonostante a Milano ci sia la quarta comunità peruviana più numerosa del mondo, e di affrontare l’argomento della diversità in un momento storico molto delicato. La mia esposizione fotografica era, dunque, solo una parte di una serie di iniziative che, devo ammettere, hanno riscosso una grande partecipazione.
Nei tuoi viaggi, attraverso la fotografia, cosa cerchi di raccontare?Credo che la fotografia sia uno strumento politico e sociale molto forte. L’ambizione di poter cambiare, anche di poco, il pensiero di chi guarda un reportage ben fatto è qualcosa che mi trasmette una grandissima energia. Perchè questo avvenga, bisogna però lavorare sodo per molto tempo e raggiungere una qualità davvero elevata. Per rispondere alla tua domanda, quindi, direi che cerco di raccontare il mio punto di vista e far in modo che lo spettatore possa condividerlo, anche sul piano emotivo.
So che a breve ci sarà un’altra mostra sul Flamenco, potresti spiegarmi di cosa si tratta?
Sì, l’inaugurazione della mostra “Dietro le quinte” al Teatro San Teodoro di Cantù, sarà proprio questa domenica. Durante un anno vissuto a Granada ho avuto la possibilità di conoscere una coppia di ballerini (bailaores) di flamenco. Mi aspettavo conducessero uno stile di vita molto simile a quello di una rock-star mentre sono rimasto colpito dal rispetto e l’impegno verso la tradizione flamenca ma anche nel trovare una grande modernità nel modo di intendere i ruoli all’interno del nucleo familiare. Mi sembrava una storia che valesse la pena di raccontare e per tre mesi hanno avuto la pazienza di sopportarmi…(ride)
Secondo te ci vuole coraggio per andarsene dall’Italia e intraprendere questo mestiere?
Se ci si vuole dedicare professionalmente alla fotografia e al fotogiornalismo credo che in primis si debba mettere in conto una vita fatta di spostamenti continui. Il mercato del lavoro è saturo un po’ ovunque e l’Italia non gode di particolare fortuna in questo senso. Io ho da poco iniziato un percorso che sarà lunghissimo e pieno di ostacoli ma alla base di tutto ci deve essere una grande passione. Non mi considero una persona coraggiosa, semplicemente sto accettando le condizioni necessarie per poterci almeno provare.
Un fotografo che ti ha ispirato?
Ce ne sono davvero moltissimi. Robert Capa è stato forse il primo che ha catturato la mia attenzione. Adesso cerco di seguire fotografi contemporanei per avere il grande vantaggio di farci due chiacchiere. L’ispirazione arriva ogni giorno dai lavori dei più famosi ma anche da tanti giovani emergenti. Credo sia importante non soffermarsi troppo sul lavoro di pochi ma accrescere di continuo il proprio bagaglio visuale.
Che consiglio ti sentiresti di dare a un ragazzo che vuole diventare fotografo?
L’unico consiglio che mi sento di poter dare, visto che mi trovo solo all’inizio di un lungo percorso, è quello di capire il prima possibile quale sia la motivazione dietro a questa scelta. Se la passione è genuina e sembra impensabile dedicarsi ad altro nella vita, allora vale la pena provarci.