Arte | Sandro Trotti, l’infinita poesia della pittura
di Giuseppe MASSIMINI
Oggi ha 85 anni e alle spalle una storia gigantesca. Irripetibile. Sandro Trotti mi riceve nello studio di Via Cola di Rienzo a Roma.
Nel salottino dove mi ha fatto accomodare si ripercorre tutto il suo lungo cammino di pittore. Sulla parete una tela di Montanarini in regalo il giorno del suo matrimonio. Sul cavalletto campeggia uno dei suoi ultimi dipinti. Tra i numerosi cataloghi e libri che parlano della sua pittura colpisce, in particolare “Il segno della camera rossa”. Raccoglie molti disegni erotici dell’artista con una prefazione di Alberto Moravia: “E’ un segno continuo, come se l’ispirazione fosse una matassa e se si tira il filo la matassa si srotola e immediatamente disegna nello spazio l’oggetto che Trotti intende rappresentare”. Sandro Trotti è appena rientrato dalla Cina dove per anni ha insegnato pittura e dove oggi è membro onorario presso le Accademie di Pechino, Guangzhou e Wuhan. “Ho avuto l’onore di insegnare arte in oriente. Ma anche l’oriente mi ha rivelato sorprendenti prospettive; una di queste riguarda il paesaggio”. Trotti nasce a Monte Urano nel 1934 in provincia di Ascoli Piceno. Nel 1949 si trasferisce a Roma e dal 1972 al 2000 è titolare della cattedra di Pittura all’Accademia di Belle Arti. La sua prima mostra è a Porto San Giorgio nel 1954. Da allora espone in Italia e all’estero.
Sarebbe impossibile ripercorrere in così poche righe tutto il suo cammino. Ma non possiamo non ricordare l’antologica a Palazzo dei Diamanti a Ferrara nel 1985 e sempre nello stesso anno al Museo di Philadelfia. Nel 1988 è a Creta, nel 1990 ad Atene e nel 1992 è a San Pietroburgo. Dal 1999 viene invitato in Cina dove espone nelle Accademie e nei Musei Nazionali di Shangai, Pechino, GuangZhou, Wuhan. Attualmente è considerato uno dei maggiori testimoni della cultura artistica italiana in questo grande paese orientale. In un breve testo sulla sua pittura Luigi Montanarini spiegava come sin dagli inizi della sua attività percepiva la necessità “di conciliare e di forzare a stare insieme una visione sensuale della realtà con un linguaggio plastico”, sovrapponendo il naturale all’artificiale. Si faceva così avanti nella pittura di Trotti il ciclo dei Cellofane (1959), contemporaneamente firmava con Monachesi ed altri il manifesto dell’astralismo e avviava una serie di ricerche sul segno-colore e sulla simultaneità del gesto pittorico. Con la metà degli anni ’60 arrivano i Crates, “una sorta di geometria ricalcata su una balistica cosmica”. Altro capitolo della sua pittura è segnato dalla serie dei Nudi Bianchi e dai ritratti della giapponese Yoko. Poi le vedute di Roma, le marine, i paesaggi marchigiani e le diverse interpretazioni di Venezia immersa in un’ avvolgente atmosfera elegiaca scandita dalla sovrapposizione e fondersi insieme di architetture, palazzi, canali e barche. Appoggiato a terra, è appena rientrato da una mostra uno dei suoi dipinti ultimi e fra i più belli: “Ipotesi di un ritratto di famiglia”. E’ il canto di una intimità perduta che si fa portavoce della nobile pittura descrittiva che Trotti non ha mai abbandonato. Mi dice sottovoce: ” Lo sai che l’Accademia di Belle Arti di Canton ha istituito il Centro di Ricerca, intitolato a mio nome, per proporre e diffondere le forme dell’arte contemporanea”. Un’altra tappa onorevole della sua carriera la donazione di un cospicuo numero di opere per Palazzo dei Priori a Fermo nel 2017.