Alessandro Trani: il cielo, il mare, l’infinito
di Giuseppe MASSIMINI
La prima volta che ho visto una mostra di Alessandro Trani ho sentito subito il fascino della pittura. Successivamente abbiamo avuto modo di incontrarci più volte fino a vedere il suo lavoro progredire nello studio e scoprire come sulla tela bianca prendevano vita, poco per volta, le sue emozioni, fino alla compiutezza dell’opera. Alessandro Trani non ha certo bisogno di presentazioni. La sua biografia vanta numerose mostre in Italia e all’estero; partecipazioni a Fiere d’Arte, Biennali e progetti artistici museali; è presente su prestigiosi cataloghi d’Arte e riviste specializzate. Il cammino di Trani è scandito a tappe. Fondamentale nella sua formazione non solo Turner, Monet e la pittura impressionista ma soprattutto l’arte italiana della seconda metà del Novecento, vissuta come specchio di riferimento e di recupero della grande tradizione figurativa. Poi, è andato oltre; allarga lo sguardo verso la Scuola di Scicli e dopo una lunga esperienza porta a termine quello che si manifesta subito nella sua pittura: il cielo, il mare e l’infinito. “Finestre” piene di luce immortalata dall’alba al tramonto nella sua continua mutevolezza atmosferica a seconda delle ore del giorno. Su tutto campeggia il blu. Più il blu è profondo e più richiama l’idea dell’infinito. Con i blu si accendono tutti gli altri colori come i rossi e i gialli, che sono l’energia della luce. Di una luce intensa ora di memoria pierfrancescana, ora di taglio trasversale, innervata, di volta in volta, di pura essenza luminosa e di sostanza plastica. In alcuni dipinti, a partire dal ciclo Alfa e Omega, iniziato nel 2015, fino a La cintura di Venere del 2019, il blu intenso cede al chiarore del rosso imbrunito, che amplifica la permeabilità dentro e fuori lo spazio della rappresentazione. In altri dipinti, quando l’orizzonte si eclissa, si avverte un’aria metafisica risucchiata in una muta sacralità piena di armonia compositiva, silenziosa e nitida come pensieri.
Ma veniamo alle ultime opere esposte di recente alla Galleria Medina a Roma. Segnano la sua piena maturità. L’artista diventa prigioniero dell’azzurro con un doppio punto d’arrivo: da un lato l’azzurro trapunto dall’acqua, dall’altro attraversato dal pulviscolo argentato dell’aria nel giungere della sera. Uno in particolare, Celestiale, omaggio a Piero Guccione, si esprime in tutta la sua trionfante ma nascosta bellezza, che la realtà naturale abitualmente cela e si rivela solo allo sguardo del poeta. In altre opere è come se avesse fotografato il mare e trasportato gli scatti in pittura con l’uso di pennellate, che poco per volta sommano sguardi ed emozioni. Nei notturni, altro soggetto caro all’artista, la luna, con una luce di sottofondo, domina la scena sopra al mare che guarda all’infinito. Solo girando lo sguardo verso un altro dipinto ritroviamo quell’aria rosata, che si affaccia dal cielo e sfuma in un mare infinito di azzurro. Se chiudendo gli occhi davanti ad una sua tela si percepisce, nella nostra immaginazione, quel filo di vento che cattura la brezza marina, si avverte poi oltre la linea dell’orizzonte quell’infinito “idillio leopardiano” di essere inghiottiti dentro ” il naufragar m’è dolce in questo mare”.