Ecco perché Mondazzoli, o come si chiama, non deve vincere
Articolo apparso sul Nuovo Corriere Laziale del 14/12/2015
A Più libri più liberi, fiera della piccola e media editoria, si torna a parlare del gigante dei libri che controllerà oltre il 40 % del mercato editoriale italiano. Rcs (Rizzoli), infatti, ha da poco ceduto a Mondadori l’area Libri per oltre 120 milioni di euro. Tra i marchi che sono stati ceduti ci sono Bompiani, Einaudi, Archinto, Piemme, Sperling & Kupfer, e altri, Adelphi si salva. Per Rizzoli è stata un’operazione dolorosa tanto quanto doverosa, senza la quale l’azienda non sarebbe riuscita a rispettare le garanzie previste dai contratti di finanziamento. Per Mondadori, l’acquisizione è stata il coronamento di un sogno di onnipotenza grazie a cui rafforzare la propria leadership nel settore e accreditarsi come gigante dell’editoria italiana. È Mondazzoli il nome che volgarmente gli si attribuisce.
Inutile dire che oggi l’Antitrust è l’Autorità più evocata dai piccoli e medi editori se non l’ultimo barlume di speranza per i libri indipendenti e tuttavia non si è ancora espressa. I problemi reali di questa fusione sono evidenti e ineluttabili, alcuni si possono leggere in un appello, firmato mesi fa da una cinquantina di scrittori, che affermava: “un colosso del genere avrebbe enorme potere contrattuale nei confronti degli autori, dominerebbe le librerie, ucciderebbe a poco a poco le piccole case editrici e (risultato marginale ma non del tutto trascurabile) renderebbe ridicolmente prevedibili quelle competizioni che si chiamano premi letterari”. Il fatto è che, come dice Stefano Mauri, presidente di Gems, gruppo editoriale indipendente “di solito, sul mercato europeo, il gruppo editoriale leader acquisisce, per crescere, il terzo o il quarto editore del mercato interno. In Italia, il primo si è comprato il secondo. Il caso è anomalo”.
Ma cosa preoccupa davvero di tutta questa storia? Del resto se il lettore medio non si interessa al marchio presente sul libro che compra e se può usufruire di uno sconto consistente senza rinunciare alle belle storie, dov’è il problema serio? Ce lo spiega Chiara Valerio, editrice per Nottetempo, secondo la quale ci troveremmo a dover rinunciare ad una reale dialettica di contrasto, alla bibliodiversità, alla possibilità di nuove visioni editoriali, senza dimenticare che piccole case editrici di qualità hanno dato un notevole contributo all’editoria italiana, per esempio Fandango per la saggistica, Minimum fax per la narrativa, raggiungendo orizzonti editoriali che non erano mai stati visti prima.
L’altro problema fondamentale è la qualità. È innegabile che un libro richieda una cura, una distribuzione e una promozione diversa da qualsiasi altro prodotto, e che la qualità di queste attenzioni è maggiore se avviene in un contesto circoscritto, accogliente, come una vera casa, insomma in una media o piccola casa editrice. Diversamente da come avverrebbe in una realtà ampia e dispersiva come Mondazzoli, dove il sistema tende a desogettualizzare ed esiste una funzione senza un chi, idee che nascono dalla capacità di marketing e non dal genio di una testa che pensa, sogna e gioca d’azzardo.
“La via più giusta sarebbe aiutare i piccoli editori con i soldi pubblici e con un vero budget per la cultura” suggerisce Palombi, piccolo editore; battersi per una legge sugli sconti che metta tutti sullo stesso piano (tutti al 5%), permettendo una concorrenza ad armi pari. C’è bisogno di visibilità, anche televisiva, e di contrastare questa “dittatura dolce” che la tv ci impone, “si potrebbe pensare anche al sostegno da parte della politica”, dice Lidia Ravera, giornalista e scrittrice, “ma non la politica a cui siamo abituati a pensare, facciamo uno sforzo e per un attimo pensiamo alla politica alta, quella nobile”.
Serena Grimaldi