L’eterno e il tempo: una grande mostra ai Musei San Domenico a Forlì
di Giuseppe MASSIMINI
L’eterno e il tempo, Una grande mostra, ai Musei San Domenico a Forlì, ripercorre uno dei periodi più avvincenti della storia dell’arte tra Michelangelo e Caravaggio
Dall’ultimo tramonto del Rinascimento al nuovo orizzonte dell’età barocca. A ripercorrere questo straordinario periodo, tra i più avvincenti e stimolanti della storia dell’arte, è oggi la mostra “L’eterno e il tempo tra Michelangelo e Caravaggio” aperta a Forlì, fino al 17 giugno, nei Musei S. Domenico. Una rassegna ambiziosa. Unica e grandiosa allo stesso tempo che si avvale, per la prima volta, anche di una seconda e nuova cornice espositiva, l’ex chiesa conventuale di S. Giacomo Apostolo recentemente ristrutturata. Sono circa 200 le opere esposte tra dipinti, sculture, incisioni, disegni, arazzi e arredi sacri ma, anche libri e manoscritti selezionati da un prestigioso comitato di curatori formato da Antonio Paolucci, Andrea Bacchi, Daniele Benati, Paolo Refice, Ulisse Tramonti; Direzione Generale Gianfranco Brunelli (Catalogo, Silvana Editoriale). Capitolo dopo capitolo si documenta, in 13 sezioni, gli anni che idealmente intercorrono tra il Sacco di Roma (1527) e la morte di Caravaggio (1610); tra l’avvio della Riforma protestante (1517-1520) e il Concilio di Trento (1545-1563); tra il Giudizio universale di Michelangelo (1541) e il Sidereus Nuncius di Gallileo (1610), avvio della nostra modernità.
La prima sezione si sofferma sulla rappresentazione del sacro prima dell’apertura del Concilio di Trento. A documentare questo spaccato che per gli storici dell’arte va sotto il nome di manierismo, pittori eccezionali come Sebastiano Del Piombo, Pontorno, Domenico Beccafumi e Rosso Fiorentino. A dominare questa sezione uno degli arazzi di Raffaello, eseguito su suo disegno da manifatture fiamminghe per decorare le pareti della Cappella Sistina in Vaticano e il calco della seconda versione del Cristo risorto di Michelangelo per Santa Maria sopra Minerva a Roma, accanto al marmo della prima versione. Nelle sezioni successive una scelta di lavori di altri grandi artisti che hanno attraversato il Cinquecento. Dall’iconografia sacra dei marchigiani Federico Zuccari, formatosi nella Roma di metà Cinquecento e di Federico Barocci che non lasciò mai l’amata Urbino, ai tumultuosi esordi di Annibale e Ludovico Carracci a Bologna, seconda capitale dello stato della chiesa. Infatti, la crisi del manierismo alla fine del ‘500 trovò un’articolata e valida risposta nella pittura dei Carracci capace di comunicare sentimenti religiosi di natura popolare. Da contraltare “L’arte senza tempo a Roma” caratterizzata proprio dalla pittura di soggetto religioso di Scipione Pulzone e Giuseppe Valeriano. L’undicesima sezione è dedicata allo studio della natura tra arte e scienza, un aspetto non poco importante nella cultura tardo-cinquecentesca che contribuirà ad approfondire la carica naturalistica e popolare della poetica caravaggesca che, nella mostra, trova un riscontro esemplare nella tela “Ragazzo morso da ramarro”, dipinta da Caravaggio nel 1594-1595. Caravaggio arriva a Roma dalla Lombardia intorno al 1595 e apre le porte ad un linguaggio nuovo, di narrazione religiosa, facendo appello all’esperienza quotidiana. La pittura acquistava nuovi elementi espressivi e le luci e le ombre diventarono elementi fondamentali del nuovo corso pittorico. La visione moderna di Caravaggio colpì anche i protagonisti della pittura europea, Rembrandt, Velasques e il giovane Rubens, testimone della fioritura barocca a Roma che chiude, con la “Adorazione dei pastori” della Pinacoteca Civica di Fermo, la splendida e irripetibile rassegna.
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