La Lazio che gioca di sabato alle 18, di martedì alle 18, di sabato alle 15, che gioca sempre e il suo gioco non può più essere contenuto – purtroppo e per fortuna – nell’inno “la domenica sempre ci fai compagnia”. La Lazio che inventa le regole di un nuovo gioco ed inventa pure nuovi avversari, in una competizione che non si gioca sul campo di calcio ma sul campo del possibile – dove tutto è possibile, dove tutto può accadere. La cronaca assume perciò il significato della storiografia – e la storia, si sa, la scrivono i vincitori. Nulla che manchi di obiettività, tuttavia: per quanto obiettivo, in ogni caso, possa essere il risultato portato sul 3-0 già al 20’ del primo tempo.
L’undici biancazzurro è un climax ascendente: una figura che di retorico ha il modo di muoversi, di impostare – la memoria dell’atto compositivo che ispira il capolavoro. Perché trattasi di capolavoro, di assegnazione del premio della critica: già nei primi 5 minuti di gioco la Lazio è pericolosa in due occasioni: il tiro di Luis Alberto finisce di poco a lato; Jony finisce nel fuorigioco-trappola doriano. Azioni presagio di un futuro immediato: l’uno-due Immobile-Caicedo regala il meritato – per diritto dinastico, ormai – vantaggio alla Lazio. Voli alti e picchi altissimi, cielo immensi e immenso amore: e poi ancora, ancora Immobile, per il 2-0 Laziale. Rigore provocato dal fallo di mano di Morru – vittima designata dalla traiettoria del cross di Lazzari (che infine si alzò, camminò e non smise più di correre). Tutto ricorre, dal 17 della maglia al 17 del minutaggio; tutto torna al suo senso di tempo e spazio quando, tre minuti dopo, è di nuovo Immobile a siglare il 3-0 e la prospettiva di 70 minuti di gloria biancazzurra.
Spiace (c’è da leggere l’inciso Inzaghiano) per chi, or che le dita sono insufficienti al contare le vittorie laziali – e i palmi quasi troppo piccoli per contenerne le benedizioni – è lo scoglio nello straripante mare Lazio: mare come è un mare la sua gente, unita e compatta; mare come sono onde il mare, ed ogni onda porta in sé l’emozione di una profondità abissale e di un orizzonte che sfuma cose terrene – la qualificazione in Champions – e cose celesti. La Sampdoria viene spazzata via dalla furia della marea, dalla pioggia che ha bagnato la città e gonfiato gli animi. Il primo tempo termina con la Lazio che, ormai, affronta la Lazio: e le ricorda che i limiti son fatti per essere infranti, superati, vinti – continuando a vincere.
La ripresa riprende quel che il fischio dell’arbitro aveva interrotto: il dominio Laziale. Così pure le sostituzioni ribadiscono il primato non solo cittadino, ma pure del campo: Radu lascia il posto a Bastos, e proprio Bastos al 52’ segna il 4-0. Nello scorrere della noia dei vinti e della boria dei vincitori c’è pure l’episodio al VAR: seppur titubante, Chiffi assegna un giusto rigore per fallo di mano di Colley su tiro di Luis Alberto. Immobile dal dischetto segna la sua tripletta, esulta e sorride beffardo ad una partita non ancora finita perché, al 70’, c’è il gol della bandiera di Linetty. Lineette di libertà, in ogni caso: al 90’ è finito pure il tempo dell’esultanza, durato 89 minuti e 59 secondi e continuato con il clacson che accompagna il ritorno a casa.