Arte | L’intervista: Maria Felice Petyx, l’infinita bellezza della ceramica Raku

Arte | L’intervista: Maria Felice Petyx, l’infinita bellezza della ceramica Raku

Una lunga attività artistica con mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Da molti anni Maria Felice Petyx realizza le sue opere, bassorilievi e sculture a tutto tondo, con la tecnica raku. Ci incontriamo nello studio, a pochi metri da porta latina, a Roma. Ha ancora le mani sporche di argilla. “Ho appena terminato L’angelo alla porta del purgatorio, mi dice. Verrà esposto ad ottobre al Museo Archeologico di Sezze nella mostra In nome di Dante”. Parliamo del suo lavoro e del suo interesse per la ceramica Raku nato agli inizi degli anni ottanta.

Come nasce la ceramica Raku?

L’origine della ceramica e del nome Raku deriva dall’incontro tra Chojiro e il Maestro Sen Rikyu (1522-1591) fondatore del che-no-yu, la cerimonia del tè, nata in sintonia con lo spirito zen.

Quale è la caretteristica della tecnica Raku?

Nella tecnica Raku non si usa il tornio ma si utilizzano soltanto le mani. L’oggetto viene modellato con un’argilla chamottata che permette di tollerare gli improvvisi sbalzi di temperatura. Le vernici sono applicate dense e cotte in una muffola alla temperatura di 900° circa. La craquelure, altra caratteristica dell’invetriatura raku, si ottiene estraendo gli oggetti dal forno non appena lo smalto si scioglie ed è ancora incandescente. Le ceramiche vengono in genere divise in raku nero (kuroraku), rosso (akaraku) e bianco (shiroraku).

Da sinistra -Maternità, -New Age, -L’Angelo alla porta del purgatorio di Maria Felice Petyx

Come arrivò in occidente?

La ceramica Raku fu introdotta in occidente da Bernard Leach, nato ad Hong Kong nel 1887 e portato ancora bambino in Giappone. Molti artisti occidentali hanno subito il fascino di questa tecnica applicandola alle più svariate espressioni artistiche. La sorprendente casualità degli effetti cromatici e la ridotta dimensione dei forni, con conseguente rapidità di cottura, hanno alimentato il desiderio di una continua sperimentazione.

Cosa è cambiato tra i suoi primi lavori e gli ultimi?

Solo l’evoluzione stilistica. Dopo gli inizi, sul tema del ritratto, ho iniziato una ricerca sulla figura femminile insieme a un ciclo di bassorilievi caratterizzati da un segno sempre più libero e da colori accesi. Ultimamente trovo interesse per la forma pura corrosa da granelli di sabbia e da colori acidi.

Si è mai sentita protagonista?

La mondanità non mi appartiene. Sovente alle inaugurazioni delle mie mostre mi sono nascosta tra il pubblico per sapere cosa pensassero delle mie opere. Questo mi ha molto aiutato a crescere e a continuare nel mio lavoro.

Le nuove tecnologie segneranno la fine della scultura?

Non ci sono limiti agli strumenti espressivi. Oggi molti artisti si esprimono con installazioni e l’uso e lo strauso dei video Personalmente difendo la scultura tradizionale.

Redazione

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