La grande lezione di Giotto

La grande lezione di Giotto

Prosegue al MART di Rovereto il dialogo tra arte antica e contemporanea

di Giuseppe MASSIMINI

L’eredità di Giotto nell’arte degli artisti moderni e contemporanei. Prosegue al Mart di Rovereto il dialogo tra arte antica e contemporanea offrendo sempre nuove  letture. La mostra Giotto e il Novecento, nata da un’idea di Vittorio Sgarbi, presidente del Mart e curata da  Alessandra Tiddia (fino al 1 maggio) presenta oltre 200 opere di cui una cinquantina provenienti dal patrimonio del Mart, tra cui Le figlie di Loth di Carlo Carrà scelto come immagine guida della mostra. L’esposizione prende avvio con una grande installazione immersiva che riproduce la Cappella degli Scrovegni di Padova, il capolavoro assoluto di Giotto. Sofisticate  videoproiezioni trasportano virtualmente  i visitatori all’interno del famosissimo ciclo di affreschi del XIV secolo. Varcata questa soglia il percorso, articolato in sette sezioni tematiche, prosegue con sorprendenti lavori di grandi autori del XX e XXI secolo accumunati dalla passione  per la figura di Giotto, studiato, imitato, o preso a modello di perfezione e spiritualità. Nel 1916, in un clima ancora  futurista e avanguardistica, Carlo Carrà pubblica sulle pagine della rivista “La Voce” un testo intitolato Parlata su Giotto, con cui inaugura il suo dialogo con l’arte degli antichi maestri. E sarà ancora Carrà, nella sua monografia del 1924, edita da Valori Plastici, a sottolineare l’opera del maestro toscano. L’eco della pittura giottesca affiora anche nelle pitture murali di Mario Sironi e nelle sculture di Antonio Martini così come nelle atmosfere metafisiche di Giorgio de Chirico riecheggiano le “scatole spaziali” degli affreschi giotteschi delle storie di San Francesco della cappella Bardi nella chiesa di Santa Croce a Firenze.

Da sinistra, la riprozione della Cappella degli Scrovegni di Padova e Le Figlie di Loth di Carlo Carrà

E ancora: l’impronta di Giotto nella purezza e nella sintesi delle forme di Fausto Melotti e nelle geometrie che scandiscono i paesaggi e le nature morte di Giorgio Morandi.  Il debito nei confronti di Giotto è riconosciuto tanto dagli artisti europei come Henri Matisse, Yves Klein e Josef Albers quanto da quelli statunitensi come Mark Rothko, uno dei massimi esponenti dell’astrazione. Matisse visita gli affreschi padovani in più di una occasione. Lo sfondo blu trapunto di stelle di una delle sue più celebri illustrazioni, Icaro, discende direttamente dalla volta degli  Scrovegni. Il blu su cui si concentra la ricerca di Klein, invece, nasce dalla rivelazione avvenuta davanti ad alcuni pannelli monocromatici nella Basilica inferiore di San Francesco ad Assisi. Lo stesso colore blu, un blu energetico, potente,  da origine all’indefinita e fluttuante  spazialità nelle tele di Rothko o ai quadrati di Albers. La mostra si chiude con un’altra grande installazione, una stanza di puro e luminoso blu, di James Turrel. Viene spontanea una domanda a cui non può che seguire una sola risposta: senza Giotto non ci sarebbe stata  arte moderna. 

 

 

Redazione

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