Insomnia. Una grande mostra al Mart di Rovereto con le opere di Leonor Fini e Fabrizio Clerici
di Giuseppe MASSIMINI
Un itinerario fantastico, surreale e metafisico dell’arte italiana del secondo novecento. Al lungo e profondo sodalizio tra Leonor Fini e Fabrizio Clerici è dedicata l’ampia rassegna del Mart di Rovereto. Pittori, illustratori, scenografi, costumisti, Fini e Clerici furono accumunati dagli stessi riferimenti estetici e culturali e, insieme, frequentarono gli ambienti intellettuali europei e statunitensi. Leonor Fini nata a Buenos Aires nel 1907, morta a Parigi nel 1996, cresciuta a Trieste e vissuta tra Milano, Roma, Parigi, ha consacrato la propria vita all’arte ed è stata essa stessa opera d’arte. Ripercorrendo la biografia emerge come numerose relazioni siano inscindibili dalla sua storia e abbiano influenzato e definito la sua opera. Una di queste è certamente l’amicizia con l’artista Fabrizio Clerici, conosciuto negli anni Trenta a Parigi. Nato a Milano nel 1913 e morto a Roma nel 1993, Fabrizio Clerici, architetto di formazione, si dedica alle arti visive e al teatro, sperimentando e innovando diversi linguaggi culturali. La mostra Leonor Fini Fabrizio Clerici Insomnia (a cura di Denis Isaia e Giulia Tulino, in collaborazione con l’Archivio Fabrizio Clerici, fino al 5 novembre) si snoda attraverso più di 400 opere tra dipinti, disegni, documenti, bozzetti teatrali, costumi, oggetti, video e fotografie, per lo più inedite, che li ritraggono insieme.
Si ripercorre l’intera carriera di entrambi, a partire dagli anni Venti, anni di formazione, prove e scoperte, fino alla maturità artistica. In un percorso vertiginoso, costellato di ricche quadrerie, sale tematiche e accostamenti originali, si ricostruisce la storia di un’amicizia rara, libera, esuberante e precorritrice dei tempi se non addirittura fuori da qualsiasi tempo. Diverse sale della mostra sono dedicate alle esperienze squisitamente pittoriche di Leonor Fini e Fabrizio Clerici. Raccolgono alcuni tra i quadri più noti della maturità di entrambi, misurandone le differenze stilistiche e le vicinanze contenutistiche individuabili in una visionarietà caratterizzata da citazioni colte e ambientazioni neo-romantiche. Un “realismo irreale” come ha scritto il poeta Jean Cocteau, che caratterizza l’opera di entrambi: nei dipinti di Fabrizio Clerici “le reminiscenze di un’archeologia ideale fatta di labirinti, cripte e ruderi deserti e silenziosi o abitati da personaggi di fantasia, si articolano sulla tela attraverso il disegno architettonico e una pittura liscia e dettagliata. In Fini invece la mitologia entra in contatto con elementi minerali che caratterizzano i luoghi in cui strane figure, a volte umane a volte mostruose, sembrano vivere una dimensione onirica e fiabesca”. Un altro capitolo della mostra confronta il lavoro di Fini e Clerici con le opere dei loro maestri come Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Arturo Nathan, Bruno Croatto, ma anche dei loro compagni di viaggio, come Stanislao Lepri, Eugène Berman, Pavel Tchelitchew e dei loro eredi, come Enrico d’Assiaed Eros Renzetti.